Fara Sabina, restaurata la ruota conventuale del monastero delle Clarisse eremite: oggi la presentazione, ecco la sua storia
Il monastero delle Clarisse eremite a Fara Sabina
Silenzioso e presente, solitario e dominante, incastonato come è, tra le case dei residenti, il monastero delle Clarisse eremite di Fara Sabina è parte della vita quotidiana degli abitanti del capoluogo con i quali in passato le monache comunicavano unicamente attraverso la ruota conventuale. La stessa che, oggi (martedì 8 agosto a partire dalle 10.30) sarà presentata, completamente restaurata, grazie all’iniziativa promossa dai giovani farensi degli anni ‘60 e ‘70 guidati da Alberto Amici, conoscitore di ogni paragrafo della storia di Fara e dintorni.
La spiegazione. “L’idea - spiega infatti Amici - è nata tra un gruppo di reduci della comitive estive dell'epoca che ogni tanto si radunano. L'associazione culturale Francesco Sacco, attenta ad ogni dinamica socio-culturale del territorio, ha messo a disposizione la sua capacità organizzativa per celebrare l'evento che quest'anno apre il tradizionale Triduo di Santa Chiara”. Il restauro non era quindi in programma ma l’iniziativa, afferma la madre abbadessa delle Clarisse di Fara, suor Maria Chiara Annalisa Farfalla, “è stata accolta molto volentieri perché ci è sembrato un modo bello per sottolineare il legame che il monastero aveva ed ha con gli abitanti di Fara Sabina e l’importanza che esso riveste per il territorio. La ruota - prosegue l’abbadessa - è da sempre molto importante per un monastero di clausura perché attraverso di essa si interagiva con il mondo esterno. È un cilindro di legno girevole con una apertura in genere a due piani e per essa passano oggetti, lettere, offerte, prodotti dall’interno verso l’esterno e viceversa”.
Le regole. Suor Maria Chiara ripercorre anni di regole e rapporti con l’esterno pressoché nulli fino a quando “nel 1932 quando le norme sulla clausura furono mitigate le relazioni con il paese si intensificarono. Da quel momento attraverso la ruota passavano prodotti dell’orto per la vendita e anche i bambini appena nati affinché le monache potessero vederli e benedirli con il segno della croce”. Alberto Amici ricorda infatti “l'abitudine di ragazzini e ragazzine di Fara di andare al convento a suonare (c'era una campanella) e a chiedere attraverso la ruota un “cartoccetto di ostie”. Si trattava dei residui della lavorazione del pane azzimo con il quale le suore confezionavano le ostie per le chiese. Per qualcuno (e non pochi) erano anche l'alternativa a un’improbabile merenda”. Perché per gli abitanti di Fara “le suore “remite” (senza e, ndr) c'erano, discrete e onnipresenti, come c'era San Martino nel panorama a occidente e la piccola catena di colline in quello a oriente. Una testimonianza storica tangibile” sottolinea Amici che oggi è sempre più legata a chi vive (e a chi passa) nel borgo in cui il loro museo del silenzio istituito nel 2005 rappresenta un’esperienza culturale e spirituale unica. “Dagli anni ’70, l’attività predominante è l’accoglienza di gruppi di preghiera che trovano in questo luogo di silenzio le condizioni giuste per la preghiera personale e comunitaria, dice la madre abbadessa che racconta anche delle cene monastiche in cui “le persone sperimentano il silenzio e le antiche ricette conservate nel nostro Archivio storico”. Grande attenzione è riservata ai giovani della Diocesi sabina con incontri di preghiera mensili e tutte le attività del monastero vengono comunicate attraverso i social perché, conclude suor Maria Chiara, “è un modo anche questo di essere presenti nel mondo attraverso la ruota della nostra quotidianità, per poter testimoniare, attraverso la gioia e l’attenzione, l’amore di Dio ai fratelli”.
di Raffaella Di Claudio